Quando si è bambini, si passa gran parte del tempo a giocare, si fa continuamente amicizia con altri coetanei, si fa la lotta, a volte si litiga, ma sempre, sempre va a finire che si fa la pace. Ricordo che quando avevo 10 anni, per un inutile screzio con il mio amico Gigi, litigammo furiosamente. La pietra dello scandalo credo fosse un "vaffanculo" da parte di uno dei due a seguito di un mancato prestito della BMX da parte dell'altro. Dopo avere litigato, esasperati, ci demmo appuntamento in una vietta dietro casa mia, una strada sterrata vicino ad un piccolo fiumiciattolo. L'intento comune: darsele di santa ragione. E così fu. Nonostante il torrido caldo di un'estate che non finiva mai, ci demmo appuntamento alle 14.30 in un punto precis; ci incontrammo, ognuno armato di "cattiveria" e di qualche mossa segreta vista in tv e provata e riprovata più volte al fine di offendere in quell'ultimo duello il tanto odiato nemico amico. Fatto sta che dopo circa 3 minuti di cazzotti, calci e graffi, ci trovammo per terra, in mezzo alla polvere, tutti sporchi e doloranti, quando una risata inattesa ci fece capire che tutto si era stranamente risolto. Che bello, da quell'istante avremmo potuto tranquillamente scambiarci le rispettive BMX senza alcun "vaffanculo"!!!
E' strano che ogni tanto mi sovvengano episodi futili della mia infanzia mentre leggo di notizie tragiche e drammatiche che sconvolgono sempre di più l'opinione pubblica e gettano sale sulle ferite del nostro paese.
I telegiornali hanno commentato la morte degli Italiani in Afghanistan con "Adesso gli Italiani assistono a questa strage con cordoglio, onore e fierezza"; ieri i giornali parlavano di orgoglio nazionale e le lacrime dei familiari sono tornate ad essere strumento mediatico per la gioia di alcuni. L'hanno chiamata missione di Pace, con la P maiuscola. Ma come mai la gente va in guerra per fare la pace? Strano fenomeno, no? Voi direte, "beh, alla fine tu e Gigi avete fatto la stessa cosa!". E' vero, sì. Ma a parte la posta in gioco e i relativi rischi che ne potevano seguire, ovvero una BMX, qualche livido e un graffio sulla fronte di Gigi che però si cicatrizzò nel giro di 3/4 giorni, c'è anche altro su cui discutere. Un sentimento di orgoglio per la morte dei propri defunti è da considerarsi legittimo, soprattutto se parliamo di persone che credono ancora che uno Stato con la lettera maiuscola esista. Non voglio sembrare estremo nei miei giudizi, nè tantomeno fuori luogo, ma confrontandomi con persone della mia età, mi rendo conto sempre di più che da troppo tempo il bel paese non è più cosa mia. E non perchè sia "cosa nostra", "berlusconi mafioso", "la lega ce l'ha duro", "la sinistra non combina niente" e "siamo in missione di pace". Piuttosto perchè tutte queste parole hanno reso silenziosa la nascita di un bacino di acqua stagnante nella quale tutti ci ritroviamo a nuotare. Si è persa quell'identità sociale di un'Italia che per motivi anagrafici ho solo studiato sui libri, di un Paese che credeva nei propri ideali e che voleva mettere in atto un vibrante spirito di cambiamento. Ci sono stati odio, coraggio, sangue e piombo. Sono caduti in molti, molti sono fuggiti o si sono nascosti; forse l'avrei fatto anche io, forse no. La voglia di combattere è di molti; la paura, dei più numerosi ma per questo non si può fare molto. Purtroppo, negli anni i molti sono diventati pochi e i pochi sono diventati alcuni. Gli alcuni sono diventati "quelli che" e adesso "quelli che il calcio" è diventato lo specchio dell'unico interesse che ancora fa litigare la gente senza portarli mai ad una pace comune. No, non sono orgoglioso della morte di persone partite per un altro paese con in mano fucili ed in tasca la pace. Assolutamente no. Posso essere molto dispiaciuto per loro e per le loro famiglie che ora metabolizzano il lutto con l'ammirazione verso i loro defunti immolati per l'identità nazionale. Condoglianze per la perdita di uomini, non di soldati.
E' strano che ogni tanto mi sovvengano episodi futili della mia infanzia mentre leggo di notizie tragiche e drammatiche che sconvolgono sempre di più l'opinione pubblica e gettano sale sulle ferite del nostro paese.
I telegiornali hanno commentato la morte degli Italiani in Afghanistan con "Adesso gli Italiani assistono a questa strage con cordoglio, onore e fierezza"; ieri i giornali parlavano di orgoglio nazionale e le lacrime dei familiari sono tornate ad essere strumento mediatico per la gioia di alcuni. L'hanno chiamata missione di Pace, con la P maiuscola. Ma come mai la gente va in guerra per fare la pace? Strano fenomeno, no? Voi direte, "beh, alla fine tu e Gigi avete fatto la stessa cosa!". E' vero, sì. Ma a parte la posta in gioco e i relativi rischi che ne potevano seguire, ovvero una BMX, qualche livido e un graffio sulla fronte di Gigi che però si cicatrizzò nel giro di 3/4 giorni, c'è anche altro su cui discutere. Un sentimento di orgoglio per la morte dei propri defunti è da considerarsi legittimo, soprattutto se parliamo di persone che credono ancora che uno Stato con la lettera maiuscola esista. Non voglio sembrare estremo nei miei giudizi, nè tantomeno fuori luogo, ma confrontandomi con persone della mia età, mi rendo conto sempre di più che da troppo tempo il bel paese non è più cosa mia. E non perchè sia "cosa nostra", "berlusconi mafioso", "la lega ce l'ha duro", "la sinistra non combina niente" e "siamo in missione di pace". Piuttosto perchè tutte queste parole hanno reso silenziosa la nascita di un bacino di acqua stagnante nella quale tutti ci ritroviamo a nuotare. Si è persa quell'identità sociale di un'Italia che per motivi anagrafici ho solo studiato sui libri, di un Paese che credeva nei propri ideali e che voleva mettere in atto un vibrante spirito di cambiamento. Ci sono stati odio, coraggio, sangue e piombo. Sono caduti in molti, molti sono fuggiti o si sono nascosti; forse l'avrei fatto anche io, forse no. La voglia di combattere è di molti; la paura, dei più numerosi ma per questo non si può fare molto. Purtroppo, negli anni i molti sono diventati pochi e i pochi sono diventati alcuni. Gli alcuni sono diventati "quelli che" e adesso "quelli che il calcio" è diventato lo specchio dell'unico interesse che ancora fa litigare la gente senza portarli mai ad una pace comune. No, non sono orgoglioso della morte di persone partite per un altro paese con in mano fucili ed in tasca la pace. Assolutamente no. Posso essere molto dispiaciuto per loro e per le loro famiglie che ora metabolizzano il lutto con l'ammirazione verso i loro defunti immolati per l'identità nazionale. Condoglianze per la perdita di uomini, non di soldati.